Il concetto della ‘neutralità analitica’ indica una delle qualità che definiscono l’atteggiamento dell’analista nella cura; in particolare, l’analista dovrebbe essere neutrale nei confronti delle manifestazioni del transfert, e sappiamo che è proprio nel saggio sull’amore di transfert che Freud sostituisce il termine ‘neutralità’ con quello, più forte ed incisivo, di ‘indifferenza’.
Ed è in questo senso che leggiamo la regola dell’astinenza: “... la cura deve essere condotta in stato di astinenza” (Freud, 1915). Il problema è che, se l’analista persegue alla lettera il principio di astinenza, perde qualunque empatia, escludendo -contemporaneamente- il proprio inconscio dal lavoro d’analisi: ed è breve il passo che conduce dall’astinenza alla disumanità.
Nella sua espressione più estrema l’astinenza giunge infatti a determinare una restrizione sempre più serrata dei criteri di analizzabilità e l’esclusione di cerchie sempre più vaste di pazienti; produce altresì intensi dibattiti sull’opportunità -ed il pericolo- implicito nel dare la mano al paziente, fargli gli auguri in occasione ad esempio di delicati interventi chirurgici, o fargli le condoglianze nel caso della morte di un familiare, e così via dicendo. Lo psicoanalista diviene la “scimmia di latta dal muso di pecora” (Stone, 1973).
L’astinenza psicoanalitica contrappone all’ ‘amor malato” del paziente la ‘sana indifferenza’ dell’analista.
Giubbolini F., La ragione degli affetti, 1996
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