Guardo il mio corpo come se fosse
quello di un’estranea,
senza pietà.
Passo a giudizio ogni singola sua parte
e non lo amo,
quello di un’estranea,
senza pietà.
Passo a giudizio ogni singola sua parte
e non lo amo,
lo odio
in maniera inaudita
per quell’imperfetta pochezza che mi fa vivere
Ingombro, zavorra da buttare via,
intralcio di cui liberarsi il prima possibile.
Spietato perché visibile prova del fatto che,
Spietato perché visibile prova del fatto che,
a questo mondo,
sono poche le cose che ci scegliamo.
Lo percorro con disprezzo:
l’occhio,
severo,
coglie ogni bruttura e
coglie ogni bruttura e
masochisticamente vi indugia.
La vergogna lo accompagna
con voce sarcastica,
La vergogna lo accompagna
con voce sarcastica,
crudele,
infierendo pesantemente
su ciò che, irrimediabilmente,
infierendo pesantemente
su ciò che, irrimediabilmente,
sarà sempre così e
peggio.
Il corpo che sono
E' nel momento in cui si riesce a partecipare alla nostra e all' altrui vita, che il giudizio anaffettivo si sostituisce all'essere. L'esserci è talmente impegnativo e appagante da non lasciare spazio alla percezione di estraneità rispetto ad un corpo che, perciò, diventa "il mezzo per arrivare al cuore delle cose".
E' l'estraneità rispetto alla propria esistenza che fa percepire il proprio corpo come un involucro sconosciuto, sempre troppo pesante.