Sul perduto Amore

Lui era già morto quando lo incontrai, mentre io, appena nata, dovevo ancora provare che cosa significasse morire. Poi, arrivò la morte, anche per me. Una morte che apparentemente lascia intatti ma che, togliendo il senso dell'esistenza stessa, toglie tutto. Il senso di estraneità sostituisce tuti gli altri sensi, quelli che hanno il sapore della presenza.
Ascoltare il cuore battere nel torace e sapere che è mera meccanica e che in nessun modo corrisponde a palpiti di desiderio, diventa l'unica, atroce, attività.
Non resta che scimmiottare gli atteggiamenti di quell'Amore perduto, così vivo solo nella memoria, erosa, più che dal tempo che passa, dal vuoto che resta.
Quell'Amore perduto che, quando c'era, rendeva beatamente persi e che, una volta perso, rende persi tristemente.
Lo si cerca fuori da Sè, mentre, se c'è una speranza di ritrovarLo, è in Noi che dovremmo cercare.
Tutta la vita per un attimo di vita.
Il sublime non starà mai più, dopo quella Volta, nell'avere quell'Amore ma nel ricercarLo con determinazione in ogni remoto anfratto e nel donarLo, anzichè toglierLo, a Creature appena nate.
Con Amore

1 commento:

sergio salvi ha detto...

Incontrare o forse cercare la morte, è come se ne fossimo attratti, non da quella spettrale ma da quella metaforica, ed è come se inconsapevolmente diventasse lo scopo della nostra vita, un gran bel paradosso non c'è che dire! Con certe premesse, sarà poi difficile rinvenire in quel petto quel battito che vorremmo si sostituisse al nostro e a nostra volta donarlo, staremo sempre ad opprimere un torace come nella rianimazione, e di quel desiderio nessuna traccia, se non la patetica ricerca di quello che era vitale, ed ora è mortale, ed è la cosa più difficile da accettare, quel sapore della presenza tramutatosi in assenza, tristemente. Del resto quale migliore esemplificazione che la dinamica del desiderio, alimentato, acceso, acmeico e poi rapido all'inverso giù nella ripida. La vita effimera e breve di una farfalla, che toccata nel suo splendore ci impregna del suo nettare-croma che come in Poe è preludio alla putrefazione. E il ruolo della memoria che proprio quando dovrebbe labile svolgere il suo compito per liberarci, ci fa ricordare anche e soprattutto quello che non era, quello che vorremmo fosse stato. E allora "il tempo grande scultore" diventa l'inceneritore, e noi intenti macabramente a conservare solo un'ennesima occasione di tormento.
"Se non lo trovi in te stesso, dove andrai a trovarlo?" Se non ci fossimo disabituati, se non avessimo delegato alla "coppia" quel compito, sarebbe certamente meno arduo, ma allora, in quel tempo che ci appare ormai così disperatamente lontano, ci consegnavamo all'altro, deformante specchio di noi stessi, il cui rimando non poteva che generare-abortire l'illusione.
Il sublime è lì, a portata di mano, ma lo sapremo riconoscere solo se saranno cambiate la premesse: saper riconoscere i vivi dai morti, l'eros e la passione dal capriccio, l'azione dall'apatia, il coraggio dall'ignavia, la creatività dal sonno della ragione, la sensibilità dall'indifferenza, la ricerca di quella creatura "appena nata" e non corrotta, quel candore originario a tutti i costi da preservare, viatico per l'amore, il "fanciullino" che implora solo di essere alimentato.
Un dibattito interiore che si riverserà in quel "giardino dell'anima" dove la differenza fra recidere (chi era morto) e potare (perchè nuovi germogli nascano) sarà insieme cruciale e fondamentale.
Con Amore Sempre


Sergio