Dottor Giovanni Carlesi, Firenze

Segue il testo dell'intervento del dottor Giovanni Carlesi, presentato il 6 marzo 2010 ad Empoli (Firenze), in occasione della presentazione della Associazione "Lachesi".

SOCIETA' CONTEMPORANEA, TECNOLOGIA, RIDUZIONISMO 
BIOLOGICO. C'E' SEMPRE POSTO PER LA PSICHE?

Se la vita ha una base su cui poggia ... allora la mia senza dubbio poggia su questo ricordo. 
Quello di giacere mezzo addormentata, mezzo sveglia, sul letto nella stanza dei bambini a St. Ives. Di udire le onde frangersi, uno, due, uno, due ... dietro la tenda gialla. Di udire la tenda strascicare la sua piccola nappa a forma di ghianda sul pavimento quando il vento la muove. E di stare sdraiata e udire gli spruzzi e vedere questa luce e pensare: sembra impossibile che io sia qui ...

Virginia Woolf,"Immagini dal passato" 
In Momenti di essere

Nel titolo del convegno si è inteso parafrasare la presentazione di una famosa pubblicazione,a guisa di intervista, di J. Hillman,lo psicologo americano puntadi diamante dello Junghismo contemporaneo e della psicologia archetipica.
A dire il vero in quello scritto e nelle risposte all'intervistatore, più che sulla psicoterapia in sé, l'indice è puntato sulle forme alienate del convivere nelle società occidentali contemporanee.
La psicoanalisi,d'altra parte, lungo il corso centenario della sua pratica e del suo sviluppo teoretico, non ha saputo opporsi a questa alienazione più generale,rimanendone spesso,essa stessa, impigliata.
La società moderna e la sua organizzazione presentano aspetti complessi e 
differenziati.
Soprattutto le società occidentali sono caratterizzate da spinte efficientiste e competitive, da alti livelli di suddivisione delle attività e delle conoscenze. La caratteristica principale è la settorialità e la superspecializzazione.
Il funzionalismo rigido e pragmatico coinvolge ampi settori della vita
dell' individuo ,da quello economico-lavorativo a quello relazionale ed esperenziale-emotivo.
L'efficientismo e la rigidità del sistema hanno profondamente condizionato 
l'individuo che ha visto mano a mano eroso lo spazio della sua libertà, potendo egli scegliere solo in un ambito di soluzioni già preconfezionate, pur sembrando, al contrario, le scelte infinite,pur sembrando ad esso la libertà,per paradosso,esaltata. 
Possiamo muoverci di più,andare dove vogliamo, in qualsiasi punto del pianeta e con relativa facilità.! miei diritti,almeno formalmente,sono più che garantiti e una ragnatela informativa e assistenziale sembra seguirmi dovunque e proteggermi.
La mia capacità di relazione,di conoscenza è notevolmente aumentata, in maniera fino a poco tempo fa impensabile.Le offerte di svaghi,di occupazione del tempo libero sono praticamente illimitate.
Eppure alla fine si ha la sensazione di non scegliere,oppure che tutte queste offerte siano luci abbaglianti dietro le quali ci sia poco.

Il tempo per riflettere,per meditare,per sentire,ci è sottratto;perfino l'emozione, felice o dolorosa che sia, ha un tempo prestabilito,oltre al quale non si puo' indugiare. 
Tutto appare superficiale,omologato,costretto,magari lucente ma anonimo.Alla fine in questo guazzabuglio di occasioni l'individuo si sente spaesato,estraneo, pur provando queste sensazioni in maniera subliminale.E' un po' come essere in un moderno centro commerciaI e,dove si è bombardati da una massa ingoiante di prodotti che soverchiano con le loro offerte, per le quali diventa difficile scegliere senza esserne confusi. Un aspetto importante dell' alienazione del mondo moderno e interessante per l'argomento della relazione è la nozione del tempo.
Si sa,è noto,oggi si va ad una velocità maggiore,che per altro sembra ancor più aumentare.Non c'è più tempo per fare:le risposte,le soluzioni delle cose devono venire con rapidità,senza esitazione e con buon risultato.Un tempo,appunto,il tempo era più lento.L'indugiare,il non far nulla,il vagabondare,il bighellonare erano momenti costitutivi dell' esistenza. Al contrario della fretta del fare di oggi.
lo penso che il tempo sia un elemento importante della conoscenza di sé stessi. 
L'attesa apre quello spazio che consente l'elaborazione delle cose,dei fatti,degli avvenimenti.
Permette alle emozioni,ai sentimenti di legarsi o sciogliersi piano piano,nel tempo. 
Ecco, tutto ciò che sfugge al pragmatismo del risultato concreto ed immediato,alla soddisfazione di un bisogno immediato nell'immmediatezza della risposta,non è più proponibile.
Oggi non hanno più possibilità di espressione compiuta i desideri,che 
presuppongono una distanza,un varco,una mancanza. Al loro posto solo bisogni che necessitano di un soddisfacimento così rapido da diventare confusivo con il bisogno stesso.Ed è proprio il modello che esige la società compulsivamente consumistica che crea continuamente bisogni da soddisfare.Pieni di piccoli grandi bisogni riduttivi,siamo diventati incapaci di desiderare.E se nel desiderio c'è la scelta e la 
libertà vuoI dire che abbiamo perso queste.
Ora desideri,emozoni,ambivalenze,attese sono un bagaglio complesso della nostra psiche del quale non pssiamo fare a meno.Come ben sa la psicolgia alcuni elementi di questo bagaglio sfuggono alla nostra consapevolezza e giacciono in un territorio interiore e nascosto che conosciamo come inconscio.
Viene da chiedersi che posto hanno,che cittadinanza possono pretendere queste istanze in un assetto collettivo precedentemente così descritto?L'impero della coscienza e del razionalismo sembra escluderle come un fardello inutile e anche un po' fastidioso.
Che senso può avere perdere tempo dietro alla psiche,alla sua cura,accogliendola e coltivandola nella psicoterapia,nella psicoanalisi,nella psiciologia del profondo,se possiamo disporre di mezzi più semplici,efficienti,immediati?
E dov'è il tempo necessario all'ascolto o dove rimane per attendere gli svluppi,le elaborazioni,i dialoghi che la psiche tesse e ritesse?
Diciamocelo,molto meglio un farmaco,molto meglio un'ipotesi biologica,anzi unatesi scientificatnte verificabile,supportata da basi certe che trovino nei geni,nella chimica dei neurotrasmettitori del cervello o nell'asse neuroendocrino,le risposte alle nostre imprevedibili e faticose espressioni emotive.
Un catalogo nosografico certo,uno schema preciso e dattagliato ai quali corrisponda un composto chimico sul quale elaborare una statistica certa di probabilità di contenimento e guarigione.
Ogni comportamento, ogni deviazione prevedibile e catalogabile,da affrontare con una articolata drogheria farmacologica;un po' di questo,un po' di quello e quest'altro,nella giusta misura, per raggiungere uno 'standard' impersonale di benessere. Con il passare degli anni,ogni volta che poso lo sguardo su qualche manuale o trattato di psichiatria o su pubblicazioni varie del circuito specialistico 
sono colto da impulsi contro fobici che mi spingono a compensare con letture di filosofia (ne sarebbero contenti i filosofi di professione ).Sì perché il riduzionismo non è solo del biologismo dilagante e spasmodico ma lo è anche della smania classificatoria della clinica psicopatologica che a tratti mi pare rasenti la forma del delirio:il delirio nosografico.Le comorbidità di tutti i tipi,i sottotipi 1-2-3,le corrispondenze statistiche,le caratteristiche indispensabili e necessarie,4 e non più di 
4,e così via,come nel melange statistico-robotico del DSM IV R e post Revisioned. 
Quindi, tornando alla domanda iniziale del sottotitolo,c' è sempre posto per la psiche oggi e più in particolare per la sua espressività, per la sua cura,nelle forme della psicoanalisi o della psicoterapia?
Da quanto abbiamo detto pare di no.Ma per quanti sforzi si facciano per 
occluderla,scansarla,negarla, la psiche di fatto,appartenendoci,è inevitabile che pretenda ascolto.
Non lo potrà fare nella vie consuete del recente passato né con le rigide metodiche che hanno caratterizzato le discipline che l 'hanno accolta, studiata, gestita nella cura. 
Intendo dire che la psichiatria e a maggior ragione le psicoterapie in senso lato dovranno rivedere alcuni capisaldi delle loro teoresi e confrontarsi con le spinte del mondo moderno. Voglio dire che i tentativi di revisione del corpus psicologico devono impegnare noi cultori e addetti ai lavori e spingerci ad uscire dalle torri di un tecnicismo corporativo per aprirsi a un confronto più ampio con la sociologia,la filosofia,la scienza,senza pretese dogmatiche o verità teoretiche acquisite.
Oggi è sempre possibile offrire un trattamento psicoanalitico che presupponga molte ore settimanali,a costi scarsamente sostenibili,quando le pressioni del contesto civile e collettivo inducono alla fretta,alla risoluzione in tempi brevi,agli investiminti proficui del denaro? E se non è possibile come si concilia lo statuto di conoscenze inalienabili con nuove forme di approccio,rese indispensabili dalla diversa nozione del tempo e dello spazio della modernità?
E ancora il raggiungimento della specifica forma dell'individualità o del sé psichico in che modo si confronta con i meccanismi della contemporaneità dal momento che l'elemento collettivo è diventato così soverchiante e omologante?
Non ci sono risposte già pronte ma stimoli a trovarle sì,se solo ci decidiamo a unconfronto largo e interdisciplinare.
Rispetto al titolo allusivo "cento anni di psicoterapia .... " ,la critica la rivolgerei verso l'interno delle pSFterapie,verso l'interno della pratica analitica. Ma sono solo scorribande controfobiche nella filosofia ... Eppure la psicoanalisi freudiana ma anche la psicologia del profondo di Jung, dalla critica iniziale verso un'attività medica 
routinaria e pragmatica, si sono piegate via via al dictat
dell' efficientismo,identificandosi in arti della guarigione.Arti specializzate nelle funzioni,nelle reazioni e nei meccanismi psichici.Se la moderna medicina, attraverso le superspecializzazioni, ha promosso ancor più la frammentazione dell'individuo in un puzzle di pezzi fisioanatomopatologici,lo stesso ha fatto la psicoterapia, pur negandolo,perché ha incontrato l'individuo malato,che ha questo o 
quello,sintomo,disturbo,nevrosi,ma quasi mai l'individuo per quello che è o vorrebbe esprimere.
Ma l'individuo,al contrario di quanto e come lo spinge l'assetto sociale, come abbiamo visto,ha bisogno per paradosso, oggi più che mai, di essere capito e accettato per quello che è, e cioè come sé stesso.
Nonostante ciò le psicoterapie viaggiano su un binario parallelo alle cure 
mediche,ma in questo modo come le prime,annienteno l'altro come soggetto, che è soggetto solo di sintomi e patologia.
L'individuo compresso nell'identificazione dibisognoso, disabile, sintomatico paziente,vuol diventare invece soggetto di comunicazione, esplorazione, dialogo, cioè proprio di quelle cose che la società gli espropria.
Se in lui il pensiero diventa chiuso,monotono,schematico e immobile non arricchisce la vita ma provoca disinteresse e apatia, come se una continua frustrazione facesse scendere esigenze di qualità avanzata a un livello più profondo,asfittico e "inaccessibile",fino a farlo diventare un'esigenza sconosciuta all'individuo stesso. 
Attraverso il dialogo bisogna ridestare lo spirito assopito,illeone che dorme, per sorprendere di nuovo, incuriosire e liberare la capacità di amare.
Se rimaniamo in un ambito di sofferenza esistenziale o di problemi di 
autorealizzazione e, in senso più generale, di appagamento, finiamo per ruotare sempre intorno all' amore, o meglio intorno alla libertà di sentire,esprimere,accogliere amore.
L'amore è il fondo oscuro e misterioso verso cui tutti tendiamo,sia che lo si esprima nell'agape dell'amicizia o nell'empatia dell'alterità,sia che lo si viva nell'avvolgente tenerezza del rapporto reciproco genitori-figli o nell'eros della dimensione degli amanti.Allora la domanda si fa ancor più incalzante e radicale, c' è sempre posto per l'amore nell'era macchnica o ci ritroviamo fra le mani una sua parodia o un simulacro oggettivante il corpo e la sua immagine?
lo credo che l'omologazione e la predeterminazione del modo moderno abbiano un primum movens nella tecnologia che informa con il suo strapotere la nostra vita. E lo sta facendo da tempo.La tecnologia nell'era delle macchine non conosce sfumature ,non comprende ambivalenze. Il suo è il linguaggio binario che sercita in forma tirannica, del sì o del no, dell'on o dell'off. Per i toni d'ombra, per gli spaziincerti, per le intuizioni morbide,acategoriali,per il sentire dialogico non esisteospitalità.

Perfino la forma esistenziale nelle sue valenze ambientali e progettuali è 
predeterminata: o dentro il mondo tecnologico o fuori.O dentro il monologo, prima scientifico, che impone l'inconfutabilità del modello esistenziale, e poi tecnologico o fuori ,nell'alienazione dal senso collettivo di valori condivisi.
La tecnocrazia non ammette dubbi,esitazioni o rinuncie ma un'accoglienza 
incondizionata assertiva e indiscutibile.
Non ci sono né fini né scopi da raggiungere né desideri da colmare.Da qui al futuro solo l'eterna fruizione dei prodotti tecnologici,eternamente rinnovabili. LLa perfetta corrispondenza dei bisogni, attraverso i prolungamenti meccanico-elettronico- informatici, alle nostre aspettative codificate.
Fine della scelta, fine del dentro e del fuori,fine della soggettività individuale, fine dello dimensione introversa del pensiero e dell'emozione. L'impegno per conservarli,proteggerli,coltivarli sa più di una corsa contro il tempo, talora immemore di ciò che sta accadendo intorno,talora perfino un po' grottesca.
Ritorna la domanda,c'è posto ancora per lo spazio dell'interiorità?
Probabilmente non abbiamo una risposta. Ogni previsione è azzardata, possiamo fare solo tentativi.
Quel che è certo è che dobbiamo ripensare la casa che abitiamo,pensarla in modo nuovo. La casa di psiche non è il mondo che la ospita né il corpo che le è fratello. 
Psiche non abita più certezze né fondamenta epistemologiche attraverso le quali capire il mondo e confrontarsi con esso.
Priva di riferimenti ontologici, ormai diventati inadatti al mondo macchinico che ha introdotto un nuovo senso del mondo,si trova spiazzata,straniera,e come tale deve agire. Anima straniera che assapora la diversità e la sensazione di non appartenenza. 
In questo condivido la visione di Umberto Galimberti che oltre che proporre un approccio diverso della psicoanalisi alla conflittualità nevrotica,non più epressa dal contrasto tra desiderio e proibizione ma dalla contrapposizione fra possibilità illimitata e inadeguatezza, propone per psiche stessa una metafora nuova o, se vogliamo, una nuova etica che l'accolga e la coltivi.
L'etica del viandante. Non più topografie certe basate su piedistalli epistemologici sperimentati,ma soluzioni trovate volta per volta, esattamente come fa l'esploratore che tenta di orientarsi in territori sconosciuti, aggiornando le mappe conosciute e disegnandone di nuove. Paesaggi,sfondi,meditazioni,incontrati e elaborati lungo il 
percorso, e via via utilizzati.In questo senso anche le grandi teoresi che hanno fondato e introdotto gli studi e le conoscenze della psiche vanno rivalutate e rime ditate e forse modificate alla luce di questo nuovo confronto. Con l'etica del viandante forse si può difendere e, per quanto possibile, ampliare la soggettività nell'intrico della ragnatela tecnocratica,sempre vigili però, affinchè l'anima non si perda, senza confronto e senza dialogo,nelmare anonimo e omologante degli spazi 
virtuali.

Giovanni Carlesi, psichiatra - Firenze

link: Associazione "Lachesi"

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