Sensibilmente

Magari, ogni volta, il dolore è sempre lo stesso, non c'è esperienza che ne riduca l'intensità e per ogni esperienza che si possa fare, sempre lì torniamo, a sentirlo di nuovo. Ma ciò che può cambiare è che, accanto ad esso o, forse, ancora più in fonto, non c'è la morte bensì la vita, la propria, che solo così acquisisce un senso, profondo, quanto e più del dolore provato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La cognizione del dolore credo passi dall'esperienza stessa di questo e anche codesto. I maestri di danza affermano che un esercizio può dirsi acquisito da un corpo, solo quando la soglia del dolore è stata superata. Ma nessuna esperienza per quanto devastante è in grado di prepararci al dolore, al "lutto", la cui elaborazione consiste nel rinnovarlo e quindi sommarlo. Ci sono dolori che nessun tempo modera, anzi ne vengono accresciuti. Ce lo insegna la nostra esperienza se sappiamo riconoscerli, e non attribuirli ad altro. La vita appunto, nel suo continuo rinnovarsi è l'antidoto, l'elaborazione, e per sinonimia potremmo parlare, o forse è lo stesso di amore e morte. Penso a qualcosa di recente dove una creatura che ribattezzerò "Sensibilia", diede origine ad una creazione e ad una analisi, il cui confine tra "essere" e "rappresentare" era così labile, da dire che era la cosa stessa, l'acquisizione di quel senso profondo. Tutto questo passava in quel volto trasparente, nel quale si poteva rintracciare la sua anamnesi, ma tutto allo stesso tempo rimandava a quel dolore e senso profondo, "privilegio" solo di "Sensibilia", sensibilmente.
Io c'ero!
Sergio